Auto: no di Germania, Francia e Spagna alla proposta italiana di ritardare lo stop al motore termico

Il governo italiano propone di anticipare la revisione del regolamento UE sullo stop ai motori termici dal 2026 al 2025, ma incontra l’opposizione di Germania, Francia e Spagna. L’Italia resta isolata nel tentativo di modificare la tabella di marcia verso l’elettrificazione.

Il piano italiano per rivedere i tempi dello stop alla produzione di auto con motori diesel e benzina, previsto per il 2035 dall’Unione Europea, sembra destinato a incontrare notevoli ostacoli. Nonostante gli sforzi diplomatici del governo Meloni, infatti, le principali potenze automobilistiche europee – Germania, Francia e Spagna – hanno espresso la loro contrarietà alla proposta italiana di ritardare l’entrata in vigore del divieto.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva annunciato nei giorni scorsi l’intenzione di presentare un piano per anticipare al 2025 la revisione del regolamento UE, originariamente prevista per il 2026. L’obiettivo dichiarato era quello di poter rinegoziare i tempi della transizione all’elettrico, considerati troppo stringenti dal governo italiano, o quantomeno di ottenere l’istituzione di un fondo europeo di compensazione per sostenere produttori e consumatori.

Tuttavia, l’iniziativa italiana sembra destinata a rimanere isolata. Germania, Francia e Spagna, che rappresentano i maggiori produttori automobilistici del continente, hanno fatto sapere di non essere disposte a rimettere in discussione l’accordo faticosamente raggiunto a livello europeo. Questi paesi, pur con sfumature diverse, ritengono che modificare nuovamente la tabella di marcia creerebbe ulteriore incertezza per le aziende, che hanno già avviato ingenti investimenti per adeguarsi alle nuove normative.

La posizione italiana appare quindi sempre più in difficoltà. Il ministro Urso aveva sottolineato come la proposta avesse “il conforto e il supporto dell’associazione dei costruttori europei”, ma questo sostegno non sembra essersi tradotto in un appoggio concreto da parte dei governi. L’Italia rischia così di trovarsi isolata nel tentativo di riaprire il dibattito sulla transizione all’elettrico.

Il governo Meloni insiste sulla necessità di una maggiore gradualità nel passaggio ai veicoli a zero emissioni, sostenendo che una transizione troppo rapida metterebbe a rischio posti di lavoro e competitività dell’industria automobilistica europea. In particolare, l’esecutivo italiano punta a ottenere il riconoscimento dei biocarburanti come alternativa sostenibile, una posizione finora non accolta a livello UE.

La partita, tuttavia, non sembra ancora del tutto chiusa. Alcuni paesi si sono mostrati più possibilisti sull’idea di anticipare la revisione del regolamento sulle emissioni al 2025, pur senza mettere in discussione l’obiettivo finale dello stop ai motori termici nel 2035. Questo potrebbe rappresentare un piccolo spiraglio per le ambizioni italiane di ammorbidire almeno in parte i vincoli europei.

Nel frattempo, l’industria automobilistica europea si trova di fronte a sfide sempre più pressanti. Luca de Meo, CEO di Renault e presidente dell’associazione europea dei costruttori (ACEA), ha lanciato l’allarme sul rischio di pesanti sanzioni se le vendite di auto elettriche non accelereranno nei prossimi anni. Secondo de Meo, il settore potrebbe dover pagare fino a 15 miliardi di euro di multe o rinunciare alla produzione di oltre 2,5 milioni di veicoli se non riuscirà a centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati per il 2025.

In questo contesto, appare sempre più evidente la necessità di un dialogo costruttivo tra i vari attori coinvolti – governi, industria e istituzioni europee – per gestire al meglio una transizione che si preannuncia complessa e non priva di ostacoli. L’Italia, pur trovandosi in una posizione minoritaria, continuerà probabilmente a far sentire la propria voce, cercando di tutelare gli interessi della propria filiera automotive. La strada verso la mobilità a zero emissioni resta tracciata, ma le modalità e i tempi di questa rivoluzione potrebbero ancora essere oggetto di accesi dibattiti nei prossimi mesi.

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