Volkswagen, pronti a chiudere il primo stabilimento in Germania

Volkswagen sta considerando la possibilità di chiudere per la prima volta alcuni stabilimenti in Germania, mettendo fine a decenni di garanzie occupazionali, nel tentativo di ridurre i costi e aumentare la competitività in un mercato automobilistico in rapida evoluzione.

Wolfsburg, Germania – Il colosso automobilistico tedesco Volkswagen si trova di fronte a una svolta epocale nella sua storia quasi centenaria, valutando per la prima volta la possibilità di chiudere alcuni dei suoi stabilimenti produttivi in Germania, una mossa che segnerebbe un punto di rottura con la tradizionale politica di tutela dell’occupazione perseguita finora dal gruppo. Questa drastica ipotesi, emersa nelle ultime ore, si inserisce in un più ampio piano di ristrutturazione e riduzione dei costi che l’azienda sta mettendo a punto per far fronte alle crescenti sfide del mercato automobilistico globale, caratterizzato da una sempre più agguerrita concorrenza internazionale e dalla necessità di ingenti investimenti per la transizione verso la mobilità elettrica.

Secondo quanto trapelato, il management di Volkswagen starebbe prendendo in considerazione la chiusura di almeno due impianti sul territorio tedesco: uno dedicato alla produzione di veicoli e l’altro specializzato nella realizzazione di componenti. Si tratterebbe di una decisione senza precedenti negli 87 anni di storia dell’azienda, che finora non ha mai dismesso stabilimenti in patria, mantenendo fede a un tacito patto sociale con i lavoratori e i sindacati tedeschi. La possibile chiusura di fabbriche in Germania rappresenterebbe quindi un vero e proprio terremoto nelle relazioni industriali del gruppo, aprendo potenzialmente la strada a un duro scontro con le potenti organizzazioni sindacali, tradizionalmente molto influenti nelle decisioni strategiche di Volkswagen.

Tra le misure al vaglio dei vertici aziendali ci sarebbe anche la volontà di porre fine all’accordo che garantisce la sicurezza dei posti di lavoro fino al 2029, un patto siglato con i sindacati che finora ha rappresentato un caposaldo della politica occupazionale di Volkswagen in Germania. Questa mossa, se confermata, segnerebbe una netta discontinuità con il passato e potrebbe preludere a una stagione di tagli e ristrutturazioni ben più ampia di quanto ipotizzato finora. Il management sembra infatti convinto che le attuali misure di contenimento dei costi, basate principalmente su pensionamenti anticipati e uscite volontarie, non siano più sufficienti per raggiungere gli obiettivi di efficienza e redditività che il gruppo si è prefissato.

Le ragioni alla base di questa svolta strategica sono molteplici e vanno ricercate nel difficile contesto competitivo in cui Volkswagen si trova ad operare: da un lato la concorrenza sempre più agguerrita dei produttori asiatici, in particolare cinesi, che stanno erodendo quote di mercato soprattutto nel segmento delle auto elettriche; dall’altro la necessità di liberare ingenti risorse finanziarie per sostenere gli investimenti nella transizione verso la mobilità a zero emissioni, una sfida che richiede lo sviluppo di nuove piattaforme, tecnologie e modelli. A ciò si aggiungono le crescenti pressioni normative, con l’Unione Europea che ha fissato obiettivi sempre più stringenti in termini di riduzione delle emissioni, imponendo di fatto una rapida elettrificazione delle gamme.

In questo scenario, il marchio Volkswagen, cuore pulsante del gruppo, sta faticando più di altri brand del conglomerato a mantenere livelli di redditività soddisfacenti, schiacciato tra costi elevati e margini in contrazione. Il programma di riduzione dei costi lanciato nel 2023, che mirava a migliorare i profitti di 10 miliardi di euro entro il 2026, si è rivelato insufficiente di fronte al peggioramento del quadro economico generale e alla debolezza della domanda in alcuni mercati chiave. Da qui la necessità di misure più incisive, che potrebbero portare a risparmi aggiuntivi per 4-5 miliardi di euro.

Le reazioni a questa possibile svolta non si sono fatte attendere: i leader sindacali hanno già annunciato una dura opposizione a qualsiasi piano di chiusura degli stabilimenti, definendolo un “attacco all’occupazione e ai contratti collettivi”. Particolarmente critica la posizione di Daniela Cavallo, a capo del potente Consiglio di fabbrica Volkswagen, che ha promesso una “battaglia senza quartiere” contro i piani aziendali. Anche il governo della Bassa Sassonia, azionista di riferimento di Volkswagen con una quota del 20%, ha espresso preoccupazione per le possibili ricadute occupazionali, ricordando il proprio diritto di veto su decisioni strategiche di questa portata.

La partita che si sta aprendo è dunque complessa e dagli esiti tutt’altro che scontati: da un lato c’è la necessità di Volkswagen di recuperare competitività e margini in un mercato sempre più sfidante, dall’altro le resistenze di un sistema di relazioni industriali consolidato che ha fatto della tutela dell’occupazione uno dei suoi pilastri. L’evoluzione di questa vicenda nei prossimi mesi sarà cruciale non solo per il futuro di Volkswagen, ma per l’intero settore automobilistico europeo, alle prese con una transizione epocale che sta ridisegnando equilibri e rapporti di forza consolidati.

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